La liquidità che caratterizza oggi il mercato del lavoro ci pone quotidianamente difronte a nuove sfide. In particolare, i cambiamenti tecnologici sempre più rapidi e pressanti hanno come effetto un rapido invecchiamento delle competenze; stare al passo con le innovazioni richiede di apprendere in continuazione nuove abilità onde evitare di restare esclusi, mettendo a rischio la propria occupabilità.
La stessa diffusione del COVID 19 ha velocizzato a dismisura l’esigenza per le aziende di rivedere il proprio business riadattandolo a modalità di lavoro “smart”, con la conseguente necessità per i lavoratori di confrontarsi con tecnologie e competenze che mai erano state necessarie fino a quel momento.
In questo contesto, per mantenere competitività, le aziende devono mettersi nell’ordine di idee di mappare le competenze dei loro dipendenti e avviare di conseguenza progetti di reskilling e upskilling: processi formativi che avranno sempre più peso poiché permettono di colmare il divario – soprattutto digitale - esistente fra le conoscenze possedute e quelle effettivamente richieste oggi nel mondo del lavoro.
Upskilling e reskilling sono legati alla formazione e al miglioramento delle competenze dei lavoratori, orientati però in due diverse direzioni.
Vediamoli nel dettaglio:
UPSKILLING
È il miglioramento e arricchimento delle competenze di un lavoratore attraverso
una formazione che migliori le abilità che già possiede, portandolo così a una crescita nel suo attuale ruolo e ad un conseguente aumento di valore per l’organizzazione.
I ruoli tradizionali necessitano, ad esempio, di ampliare quelle competenze che la digitalizzazione delle aziende richiede attraverso aggiornamenti che andranno ripetuti e rivisti ogni 2, massimo 5 anni.
Fare upskilling significa, in pratica, acquisire competenze che possano dare maggior valore al proprio lavoro, accrescendo le capacità di vedere soluzioni, di proporre idee o di fare approfondimenti.
RESKILLING
È un sistema di formazione che permette di riqualificare un dipendente per ricollocarlo in un nuovo ruolo all’interno dell’azienda, offrendo opportunità di crescita economica, professionale e personale a chi ne usufruisca.
L’evoluzione tecnologica può rendere obsolete alcune professioni, portando le aziende a dover modificare la strutturazione delle mansioni al suo interno. Un percorso di reskilling offre nuove opportunità a chi si trova occupato in un ruolo non più necessario all’organizzazione.
Un esempio può essere quello - in un negozio migrato all’e-commerce - di offrire una formazione legata al servizio clienti online a chi si occupava della vendita di prodotti.
Un’altra forma di reskilling di enorme importanza è quella che riguarda la formazione per i disoccupati, in particolare per gli over 40/45 che si trovano fuori dal contesto lavorativo con difficili opportunità di reinserimento. Per riqualificare questa fascia di lavoratori e facilitare il loro reinserimento lavorativo è fondamentale fornire loro nuove competenze attraverso un percorso mirato in settori in cui la richiesta è particolarmente elevata.
Questi percorsi sono solitamente svolti da Enti di formazione su indicazione e finanziamento dei servizi locali.
Ma quali sono i vantaggi per le aziende nel proporre corsi di upskilling e reskilling?Primo fra tutti: consentire la crescita personale in ambito lavorativo aumenta la fidelizzazione dei dipendenti, con conseguente calo del turnover. Ciò permette all’azienda di mantenere all’interno risorse preziose che hanno già conoscenza del settore, dei colleghi e dei clienti e fornitori. La formazione fa inoltre calare l’esigenza di nuove assunzioni, mantenendo la competitività dell’azienda grazie al costante aggiornamento dei propri dipendenti.
Per le aziende è opportuno, insomma, puntare sul proprio capitale umano: prestare attenzione ai bisogni dei dipendenti stimolando le loro aspirazioni per incrementarne le prestazioni.
Anche se dalla ricerca “The future of jobs report 2020” risulta che i datori di lavoro forniscono mediamente opportunità di aggiornamento professionale al 62% della loro forza lavoro, con previsione di accrescere questa offerta arrivando al 73% entro il 2025, solo il 42% dei lavoratori sfrutta queste opportunità di riqualificazione e upskilling offerte dal datore di lavoro.
La causa? La modalità di erogazione di queste formazioni, spesso generiche, eccessivamente lunghe, che offrono scarsa possibilità di interazione con i docenti e, a volte, non in grado di fornire soluzioni concrete ai dubbi e supporti ai progetti che si affrontano nella quotidianità.
Per risolvere questo problema è necessario che le aziende si impegnino nella
promozione dell’apprendimento continuo come un momento realmente utile e piacevole (e non come un obbligo), creando una strategia sartoriale per supportare lo sviluppo dei dipendenti, fornendo loro strumenti e programmi di formazione che colmino i divari e favoriscano nuove modalità di lavoro.
Le classiche modalità di erogazione della formazione (moduli lunghi e lezioni frontali o webinar generalisti) andrebbero sostituite con modalità tecnologicamente più avanzate, che offrano un approccio mirato, costruito sui reali bisogni degli utenti.
Sarà, insomma, necessario entrare nell’ottica del long-life learning, che potrà essere affrontato nelle più varie declinazioni: dalla formazione al coaching all’auto apprendimento fino al learning by doing.
Solo così l’apprendimento continuo diventerà una parte fondamentale e realmente utile del lavoro.
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